giovedì 22 marzo 2012

PD, congresso subito?


Oggi stiamo leggendo dappertutto che il Pd rischia seriamente di dividersi, di scindersi, insomma di morire per davvero. La causa? Sostanzialmente dover affrontare la riforma del mercato del lavoro che lunedi è stata presentata da Fornero e Monti. Situazione nella quale si registra che l’articolo 18, seppur strumentalizzato ovunque, non era l’ultimo dei problemi. Mentre scrivo c'è la sensazione che in parlamento qualcosa verrà cambiato. Stiamo a vedere.
Ad ogni buon conto è paradossale che in difficoltà ci sia il PD e non il Pdl. La riforma Fornero infatti finalmente affronta concretamente uno dei nostri problemi nodali, e mette in campo soluzioni, di cui la destra berlusconiana ha parlato spesso in campagna elettorale in questo ventennio, senza mai tradurre nulla in azioni concrete. E comunque si tratta di soluzioni per nulla di destra, anzi alcune sono banalmente ricollegabili ad una cultura socialdemocratica come si prova a dire anche altrove.
Ecco perché sembrerebbe assurdo che non sia il Pdl a essere messo nei guai da questa riforma, e che addirittura lo sia il PD. È assurdo ma solo in teoria. In pratica, infatti, si sa che si tratta di un nodo che viene al pettine. Uno di quei nodi che l'ultimo congresso 2009 del partito non ha affrontato, come del resto gli altri appuntamenti degli ultimi vent'anni della sinistra italiana. In verità all’ultimo congresso del Pds del 1997 il segretario Massimo D'Alema diceva cose precise e univoche, “blairiane”, quelle di moda dell’epoca; per questo molti ironicamente dicono di essere rimasti dalemiani, e che sia stato lui ad aver cambiato idea. Ma questa è un’altra storia.
Un’approssimazione fastidiosamente errata è dire che gli ex Margherita siano tutti a favore di questa riforma, mentre gli ex Ds sono tutti contro. I media semplificano, rinunciando a spiegare una situazione leggermente più complessa. In realtà, infatti, la divisione tra dem a favore e dem contrari è trasversale e rispecchia, guarda caso, le mozioni del congresso 2009. In breve, da una parte una ex Margherita come la Bindi grande sponsor del segretario e dall'altra i vari Treu e Gentiloni. Franceschini, candidato contro Bersani nel 2009 cerca di collocarsi nel mezzo. Ma appare più vicino alla maggioranza del partito che pontiere.
Però c'è una rilevantissima eccezione: Enrico Letta. L'attuale vicesegretario del PD, che è tale in virtù dell'appoggio a Bersani nel 2009, ha fin dall'inizio palesato il suo favore per questo governo e i suoi obiettivi. E adesso continua a rincarare la dose staccandosi dunque dalla posizione della presidente del partito Bindi, rimasta fedele alla linea della maggioranza del partito.
Inoltre ci sono pure gli ex Ds divisi tra contrari e favorevoli. Anche qui le mozioni del congresso 2009 continuano a essere rispettate con una sola eccezione. Quella di Damiano (vicino a Fassino che appoggiò Franceschini), che si schiera con i depositari del filo rosso con la Cgil, ora guidati da Fassina. Tra i favorevoli il giuslavorista Ichino, Tonini, Morando, insomma i veltroniani (ma sempre provenienti dai Ds!) che continuano a spiegare che secondo loro l'agire riformista di Fornero e Monti addirittura è "di sinistra" se proprio vogliamo dirlo.
Quelle di Letta e Damiano sono due eccezioni che però possono spiegare che adesso i giochi stanno davvero cambiando in modo irreversibile. Per la prima volta ci sono tutte le condizioni per affrontare discussioni interne al netto di qualsiasi legame di potere o di convenienza figli di qualche passato. Per la prima volta è possibile dividersi esclusivamente in base ad idee e contenuti. Questo ovviamente dipende totalmente dalla volontà di abbandonare qualsivoglia comodità ipocrita.
E pare pure evidente che proprio da qui passa la sopravvivenza o la morte del partito democratico. O si affrontano finalmente i temi, ognuno mette nero su bianco le proprie idee e intenti, e il segretario legittima la sua funzione creando una sintesi credibile e sostenibile, oppure tutto crolla. La farsa del partito che in realtà non esiste, non solo nelle idee ma nemmeno negli immobili, non sarà più fisiologicamente praticabile. Allora alcuni, felicissimi, rifaranno finalmente il Pds (non i Ds), e gli altri valuteranno cosa sarà per loro più conveniente. E chi aveva creduto nel progetto di un partito democratico italiano non riceverà mai le scuse e nemmeno alcuna spiegazione, per questa che passerebbe definitivamente alla storia come una vera e propria "truffa politica". Perché nessun nuovo elettore Pd, seppur felice per la scelta, aveva costretto questi dirigenti a cambiare nome ai rispettivi partiti (anche se in queste settimane tutti abbiamo scoperto che in realtà si tratta di partiti ancora vergognosamente vivi finanziariamente).
Poi c’è un altro aspetto totalmente paradossale, e allo stesso tempo molto interessante. Da una parte ci sarebbe chi ha già bene in mente cosa fare: rottamare in qualche misura i propri padri e prendersi lo spazio che gli spetta. Le idee, per quanto possano apparire a tratti contraddittorie, condivisibili o meno, sono però chiarissime. E da questa parte ci sarebbe pure pronto un gruppo dirigente più giovane ben affiatato al suo interno. In soldoni, qui la leadership già è riconosciuta.
Dall'altra parte, invece, se la “mozione” sembrerebbe già pronta nella sostanza dei contenuti e delle idee, mancherebbe il metodo per provare a renderla vincente, e mancano pure i leader che siano convinti di spendersi per questa causa. Insomma il leader manca proprio a chi nel leader ci crede, proprio mentre di leader abbondano quelli che demonizzano la leadership e, anzi, di questa demonizzazione, ne fanno un cavallo di battaglia.
Mentre scrivo, come accennato, si annusa che in parlamento qualcosa succederà, che si riuscirà a trovare una soluzione. E che la vera rivoluzione Monti non l'ha compiuta sull'articolo 18, ma ponendo fine alla cultura consociativa, non più attinente nè giusta per una società totalmente modificata e in larga parte senza rappresentanze. Al netto di questo per il Pd resta inevitabile affrontare se stesso. Quello che dovrebbe o almeno quello che vorrebbe essere. E spiegare il perché.

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giovedì 15 marzo 2012

Ibra: genio e pazzia


Mi sono rimasti molto impressi gli occhi minacciosi di Ibra rivolti a Vera Spadini, la giornalista di Sky che al termine di Milan-Lecce si è vista arrivare addosso un “Ca**o guardi?” e pure il ferma capelli dello svedese. La colpa della giornalista è stata rivolgergli una domanda scomoda.

Tutti hanno subito commentato e ricamato sopra, ovviamente e giustamente. Si è andati dal “nervoso” al “gran cafone”. Al di là delle banalità che piace sentir ripetere, io mi voglio soffermare su una in particolare, perché mi pare quella più significativa confermata da quest’episodio.

Zlatan Ibrahimovic ha un peso incredibile dentro e fuori dal campo. E lui lo ricorda a chiunque ad ogni occasione, in qualunque maniera capiti e collocandosi senza problemi al di sopra del politicamente corretto. Lo ricorda ai compagni in campo (e anche all’allenatore Allegri), lo ricorda agli avversari, lo ricorda ai giornalisti e agli addetti ai lavori. Il Milan, dal canto suo, evita in modo scientifico qualsiasi intervento paternalistico che vada a riprendere il suo attaccante. Soprattutto in questa fase della stagione.

La squadra rossonera pensa bene, invece, di chiarire e rimettere a posto le situazioni sgradevoli che Ibra può creare. Tornando all’ultimo episodio, ad esempio, invia a Spadini 19 rose, tante quanti sono ad oggi i gol segnati dallo svedese.

Sembrerebbe che il genio deve essere salvaguardato dalla pazzia, o meglio, della pazzia, per quanto concretamente pericolosa, devono essere affrontate e risolte solo le conseguenze. Ma bisogna evitare di aggredirla perché c’è il rischio di compromettere il genio.
Ibrahimovic è all’apice della sua carriera. Con squadre di club ha vinto ogni campionato in cui ha giocato. Sappiamo a memoria che è dal 2004 che ciò succede, dove c’è Ibra si vince la massima serie di calcio. Due con l’Ajax (uno nel 2001/2002), due con la Juve (seppur uno revocato ma tanto era passato all’Internazionale), tre con l’Inter, uno col Barcellona, uno col Milan.

A prescindere dai risultati della nazionale svedese, ad Ibra è risaputo che manchi una consacrazione in competizioni internazionali. Anzi, a questo proposito subisce il rovescio della medaglia: se è vero che dove c’è lui si vince il campionato, è anche vero che con lui non si vince la Coppa. La vecchia e sognata “Coppa dei Campioni” ora Champions League. Addirittura a Barcellona negli ultimi tre anni l’hanno vinta 2 volte, e l’hanno mancata proprio nell’anno di Ibra in Catalogna.

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giovedì 8 marzo 2012

"Famolo solido" davvero. Impariamo almeno da Palermo



Sbagliando si impara. E’ la prima espressione significativa che ti inculcano all’asilo. A quattro giorni dalle primarie di Palermo, però, il centrosinistra, e il Partito Democratico in particolare, ai miei occhi continuano a fregarsene: sia degli errori del passato da cui impare, sia del futuro nel quale, finalmente, evitarli.
Oramai siamo diventati tutti esperti di primarie palermitane, come ci è capitato per quelle milanesi a fine 2010, poi per quelle napoletane all’inizio dell’anno scorso, e un mese fa pure per quelle genovesi. Anche in questa occasione abbiamo imparato a memoria i nomi di tutti i candidati che si sono sfidati, comprese le cordate che stavano dietro ciascuno di essi.
La prima è Rita Borsellino, l’unica che pure a Bolzano si conosceva già da sabato. Anzi, forse è stato proprio un handicap che quella di Palermo per la Borsellino sia stata la sua quarta candidatura di fila nell’isola. Candidata presidente alla regione nel 2005, alle politiche nel 2008 con Sel, alle europee nel 2009 col Pd. Borsellino era sostenuta dalla cosiddetta alleanza di Vasto più Ferrero più Verdi. 
Chi invece era uno sconosciuto fino a pochi giorni fa era Fabrizio Ferrandelli, uscito vincitore dalla Primarie con 158 voti di scarto sulla Borsellino. Ex Idv e consigliere comunale, ex figlioccio di Leoluca Orlando, è fuoriuscito dal partito di Di Pietro, portandosene, però, un po’ con sè. Ma i suoi sostenitori “pesanti” sono stati Cracolici e Lumia, i due uomini forti del Pd siciliano e creatori dell’accordo con Lombardo in regione. Quindi ha dietro un pezzo di Pd sicialiano importante, al quale malelingue più o meno informate, aggiungono un aiuto minimo dello stesso Lombardo. Insomma, Ferrandelli sarebbe stato ed è il candidato outsider che lotta contro “i vecchi” del centrosinistra, ma allo stesso tempo ha alcuni vecchi potenti che lo sostengono. Dicono, appunto, pure il presidente della regione che di sinistra non è. E’ il candidato perfetto.
Che Palermo e la Sicilia stiano anni luce avanti a qualsiasi Vasto, ce lo spiega Giuseppe Lupo. Deputato Pd in regione, unico big del partito siciliano a sostegno di Borsellino, si è fatto eleggere segretario regionale del Partito promettendo il non accordo con Lombardo. Poi però ha lavorato per l’accordo esterno e quindi per quello interno. Insomma uno della linea di Cracolici e Lumia, che però, come detto, hanno sostenuto Ferrandelli, e in quanto vincitori delle primarie chiedono addirittura le dimissioni di Lupo.
Torniamo ai candidati. Il terzo incomodo è stato Davide Faraone. Per la verità il deputato regionale Pd (provenienza Ds) è stato il primo a volere le primarie e a candidarsi. Era il 4 dicembre 2010. E su di lui abbiamo tutti imparato che è l’unico dei quattro candidati ad essere iscritto al Partito democratico anche se il Pd nazionale ha sostenuto Borsellino (Faraone ha denunciato anche finanziamenti del partito alla candidata non iscritta al partito).
Antonella Monastra, quarta classificata, è stata la candidata dei movimenti. Ex consigliere comunale, si è avvicinata alla politica proprio grazie a Rita Borsellino nel recente passato. Ha ottenuto più di 1700 voti e combattuto la sua onesta battaglia di idee senza troppo clamore. I veleni, le critiche, gli attacchi, infatti, non hanno riguardato Monastra nè prima, nè durante, ne in questo post primarie. 
Tutto si continua a concentrare intorno agli altri tre. In breve, una rappresentante di lista di Ferrandelli è indagata in quanto è stato segnalato che avrebbe distribuito l’euro per votare alle primarie. E i carabinieri hanno trovato più di 50 certificati elettorali a casa sua. Leoluca Orlando, probabilmente il vero sconfitto del voto di domenica, in un’intervista a La Stampa non le ha mandate a dire e ha parlato di “primarie inquinate” e che ancora “tutto può succedere”. Lui stesso è ancora possibile che si possa candidare. Sempre, ieri, in serata, Rita Borsellino ha presentato ricorso ai garanti delle primariecontestando l’elezione di Ferrandelli. E pure la Procura ha aperto un’inchesta.
Faraone, invece, viene da una tre giorni di bombardamento tramite video di Striscia la Notizia. E’ accusato di aver chiesto voti di scambio ai soci di una cooperativa, in grande maggioranza ex carcerati. Faraone dice che lui stesso vuole, ovviamente, “vederci chiaro” nella video-inchiesta di Striscia. Ha dichiarato che comunque non hai mai chiesto nessun voto di scambio. Ma ha solo dato la sua parola che, se fosse diventato sindaco, avrebbe avuto modo di aiutare quelle persone socialmente deboli ad ottenere dei corsi di formazione, che li avrebbero aiutati a trovare un posto di lavoro.
Resta il dato oggettivo che Faraone, senza sponsor, grandi o piccoli, nè locali nè nazionali (se Renzi non è ancora leader nazionale), è riuscito ad ottenere poco più di 8000 voti (27,3%). Neanche 2000 voti sotto Ferrandelli e Borsellino. Mentre alla vigilia era dato tra il 5 e il 10%. 
Ancora non si sa se, quattro giorni dopo le primarie, Ferrandelli sarà il candidato di tutto il centrosinistra. Senza parlare di come risponderanno Lombardo (e terzo polo) col proprio candidato, e il Pdl su un altro fronte ancora.
Abbiamo sentito e visto di tutto, di impensabile e di incoerente. Però a livello nazionale una lezione è ora che si impari. Bisogna creare un partito che in base alle proprie idee e contenuti decide con chi stare. O eventualmente di stare da solo... Sono passati più di quattro anni dall'ottobre 2007, ma ancora non c'è una linea precisa. E quindi non c’è neanche il partito. Non è sterile polemica ricordarlo annoiando ogni volta.
Evidentemente non è bastato dire “famolo solido”. Ogni primaria di grande città si è trasformata in una delusione per il Pd, Fassino e Cialente sono eccezioni che confermano la regola. 
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